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2009, la rotativa sbronza

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Molte (fondate) ironie sono state fatte sul fatto che ultimamente le “grandi firme” dei giornali italiani sono diventate peggio dei blogger prima maniera, e passano le giornate parlandosi addosso.

Oggi si è raggiunto (spero) l’apice: con De Bortoli che attacca Scalfari, il Giornale che se la prende con Gad Lerner, Belpietro che titola in prima pagina su se stesso, Il Riformista che apre sul Riformista, Pansa che su Libero parla male di Scalfari, ancora il Riformista che mette in prima pagina un editoriale in cui si commenta un’intervista fatta ieri dal Corriere a Pansa, il Foglio che insulta il vicedirettore di Repubblica, il Manifesto che attacca De Bortoli – e siccome anche noi vogliamo la nostra parte, c’è pure un attacco del Giornale al direttore dell’Espresso in cui si riprendono pari pari delle cose che di lei scrisse Pansa sul Riformista.

Il quadretto può apparire comico, visto che mentre noi ci sputiamo addosso, tutto intorno ci sarebbe un mondo che gira e nel quale succedono cose un filo più importanti rispetto ai turbamenti di Polito o ai rigurgiti di Pansa.

Tuttavia, se si supera l’ironia, ci sarebbe da chiedersi che cosa gli ha preso, ai quotidiani italiani: a che cosa è dovuto questo grottesco avvoltolamento nelle proprie beghe interne, dove peraltro si mescolano ragionamenti politici a invidiette personali, antipatie storiche e ruggini di redazione.

Aldilà della componente psicologica (non c’è categoria in cui non si parli volentieri male dei colleghi: il problema è che i giornalisti per farlo occupano le colonne dei giornali) le ragioni profonde di questo recente sbarellamento sarebbero interessanti da cercare.

Io un’ideuccia ce l’ho, e ha a che fare con il fatto che prima un potente editore di tivù e giornali è diventato premier (e quindi ha trasformato i suoi giornalisti in uffici stampa del suo partito) e poi è semiscomparso il maggior partito d’opposizione (e quindi si è creata una funzione di supplenza da parte dei giornali antipremier).

A questo punto, la normale dialettica tra editorialisti e direttori di opinioni e tendenze diverse si è trasformata in battaglia politica a tutto tondo – diretta, non mediata, e talvolta durissima – il che mi pare un problema più per la politica (quindi per tutti) che per il giornalismo.

La dico diversamente: da una parte non c’è un partito, ma un miliardario monocrate proprietario di media che usa come clave, anche per demolire i giornalisti avversari; dall’altra parte c’è un partito d’opposizione non pervenuto, e quindi i giornalisti di opposizione finiscono per doversi esporre in prima persona molto più di prima.

Ecco perché è un problema politico (nel senso più ampio del termine) e non di categoria: se al centrodestra avessimo un partito normale e non una corporation di media e se al centrosinistra avessimo un partito anziché un impalpabile ectoplasma, tutto ciò forse non succederebbe, o succederebbe molto meno.

Per questo mi sono permesso di scrivere un post in cui un giornalista (io) parla di altri giornalisti che parlano di altri giornalisti. Il che, in effetti, sarebbe un ulteriore avvoltolamento decisamente cretino, se non ci fosse all’origine (appunto) un problema che riguarda tutti.

Sbaglio?


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